sabato 29 settembre 2007

moscardini ubriachi con carotine al vapore


A me il ventinove settembre fa sempre (ma sempre eh) venire in mente la canzone di Battisti, non so com'è, ma devo avere un orologio biologico settato sul battisti-pensiero, quindi mi sveglio già dal mattino con sta canzone in testa, bizzarra sta cosa, no?Oltretutto oggi è uno di quei sabati da dimenticare, metereologicamente parlando, si è passati dal sole cocente al diluvio freddolante nel giro di pochissimi minuti, e a quel punto, grondanti di pioggia, con le sportine del supermercato cariche (anche di acqua piovana) a una persona normale che je rimane da fà?Ovvio ci si da all'alcol, se non proprio in prima persona, 'chè comunque devo tenere sempre conto che so' un'ex astemia pentita, quantomeno ne piatto.Perciò ho sperimentato sta ricetta ch'è semplice e veloce.Comincio col dire che ho inciampato in questi moscardini alla coop, aggiungo pure ch'erano in offerta alla bellezza di 4,5 euro, proseguo col dire che io non ho mai amato molto i moscardini perchè non mi sono mai (ma mai eh) venuti in maniera soddisfacente, và a capì il perché; stavolta ho voluto riprovare, avevo tempo, un sacco di voglia e la consapevolezza che avrei potuto pure farcela (in fin dei conti, diciamocelo, sono + grande di loro, no?). Intanto ho scoperto che la cottura dei moscardini è complicata tanto quanto quella dei polpi, ovvero hanno bisogno di una fiamma dolcissima e prolungata, e SEMPRE nell'umido (il che significa che sono assolutamente inadatti alla piastra, pena la durezza della polpa).Ho messo sul fuoco la pentola piral con dell'olio evo, ho spremuto un paio di spicchi d'aglio e appena ha cominciato a soffriggere ho aggiunto i moscardini. Quest'ultimi li ho messi in pentola addirittura interi, perchè erano piccoli, li ho rivoltati 2 volte, giusto per insaporirli, dopodiché ho aggiunto il vino fino a coprirli e un peperoncino intero. Ho messo il coperchio ed ho abbassato la fiamma, dopo una 40ina di minuti ho scoperchiato, buttato via il peperoncino e fatto restringere ulteriormente il liquido in pentola. Nel frattempo si saranno già messe a cuocere al vapore le carote, già sbucciate, lavate e tagliate a fettine, metterle nei piatti e condirle con balsamico-olio e sale
Ingredienti per 4

1 kg di moscardini (anche se io preferisco regolarmi con la conta, cioè un tot a testa, il tot dipende dalla fame)
circa mezzo litro di vino, preferibie vino non troppo aromatizzato (insomma un banale vino bianco da pasto)
peperoncino
sale
500g di carote
prezzemolo
olio evo
aglio

venerdì 28 settembre 2007

Rosso come il cielo

(foto dalla galleria di Repubblica.it)

Chi si ricorda il film "Rosso come il cielo"? É un film bellissimo, di come la speranza può superare la più tremenda sciagura, insomma la capitalizzazione del dolore; forse sarà un modo per consolarsi, chissà, chi può dirlo, ma tant'è funziona... e come dice Saramago:
"La speranza, solo la speranza , nient'altro. Si arriva a un punto in cui non si ha nient'altro all'infuori di quella, ed è allora che scopriamo di avere ancora tutto".
Anche io aderisco alla campagna Free Burma promossa da Blogosfera, promossa da Blogsfere per la solidarietà con i monaci birmani.
La marcia non violenta si è trasformata in un corteo blindato.
Negli ultimi giorni la situazione si è aggravata e la polizia ha sparato sulla folla causando già 9 morti, fra cui un fotografo giapponese e un giornalista tedesco. Anche io oggi mi sono vestita di "rosso", riprendendo il rosso dei vestiti dei monaci, lo so che è solo un gesto simbolico come quello di scendere in piazza o mettersi un nastrino rosso. Ma è un gesto che aiuta a non sentirsi impotenti spettatori di fronte al massacro. É un modo, uno dei pochi rimasti, per poter esprimere il proprio dissenso e la vergogna di appartenere alla stessa specie dei governanti Birmani.
Mi accodo a Blogosfere nell'invitare la Rete e i blog ad unirsi per fermare azioni estreme e violente nei confronti della popolazione civile e dei reporter, che hanno il diritto di fare informazione senza mettere in gioco la propria vita.
Riporto un po' di foto di Repubblica.it, si lo so, sono un pugno nello stomaco, sorry



giovedì 27 settembre 2007

stracotto che bontà!




E' una delle ricette che può essere iscritta d'ufficio tra quelle in via d'estinzione: lo stracotto, un piatto completamente in antitesi rispetto ai tempi che stiamo vivendo, vabbè, sarà il periodo, mò mi è presa sta mania, che ci posso fà? Tanto oggi si preferiscono cotture brevi e decise, tanto lo stracotto deve sobbollire a lungo, a fuoco basso, meglio ancora se su una stufa a legna per circa tre ore, però siccome la stufa a legna ce la sognamo, la maggior parte dei comuni mortali è costretta ad emigrare nella trattoria di campagna o nel ristorante tradizionale per ritrovare gusti e sapori finiti nel dimenticatoio. Come tutte le ricette del passato che si rispettino, lo stracotto nasce non per gioia ma per dolore: mancando i soldi per acquistare carni nobili di prima scelta, i contadini e i popolani erano costretti ad accontentarsi di pezzi di seconda e terza scelta, più ricchi di tessuto connettivo e quindi bisognosi di cotture prolungate per diventare più teneri. A questo si aggiunge la necessità, obbligata per le famiglie numerose, di elaborare ricette ricche di sughi e salse, in modo da potervi intingere copiosamente del pane: ecco spiegato perché, nell'eredità gastronomica del passato, abbondino umidi e brasati, a scapito di arrosti e carni grigliate, io posso dire di rispecchiare in pieno questo modello, perché di mio posso dire di essere una grande esperta di grigliate ma di avere profonde lacune in brasati e stracotti, lacune che qust'anno intendo clmare. In Toscana lo stracotto era diffuso soprattutto a Firenze, Siena ed Arezzo: non mancavano le differenze, legate soprattutto al tipo di odori impiegati. Sempre di manzo comunque si trattava e sempre di pezzi non eccelsi: un filetto cotto a lungo risulterebbe inesorabilmente filaccioso e poco saporito! La prima distinzione da fare è tra brasato e stracotto: nel primo caso si parla di tagli di manzo di qualità migliore, sempre avvolti o steccati internamente con lardo, fatti dapprima rosolare con v erdure e quindi bagnati con vino rosso, pomodoro e brodo. Al termine della cottura la salsa non viene passata ma solo filtrata, addensata con farina o fecola. Con lo stracotto la lardellatura non è indispensabile, a patto che si lasci parte del grasso naturale attaccato alla parte magra. Alla rosolatura iniziale vanno aggiunti anche gli ortaggi, tagliati a cubetti piccoli o addirittura tritati. La cottura prosegue come per il brasato, ad eccezione della salsa di accompagnamento, che deve essere ottenuta passando il fondo di cottura al passaverdure. Alcuni cuochi consigliano di affettare la carne in precedenza e lasciarla riposare nel proprio sugo, permettendole così di insaporirsi meglio. In realtà è un espediente utile quando si devono servire numerose porzioni in contemporanea, ma per un impiego familiare è meglio aspettare l'ultimo momento prima di tagliare la carne. Da evitare sicuramente il mantenimento in forno, dove il calore eccessivo porterebbe a modificare gusto e consistenza del piatto.
Trovate qui tutti i tagli di carne con tanto di mappa e spiegazione.


Stracotto con lenticchie
800 g di manzo (io ho preso quella denominata "brutta ma buona)
200 g di lenticchie puy (*)
5 cucchiai di olio evo
sedano-carote-cipolla tritati
sale


Mettere a bagno le lenticchie per 8 ore. Sgocciolatele e metterle a cuocere in una pentola con abbondante acqua fredda per circa un'ora. Sgocciolatele e tenere da parte l'acqua di cottura.
In una pentola di terracotta (o ghisa o anche in rame) far soffriggere gli aromi, unire le lenticchie e farle insaporire a fuoco vivace. Stemperare il concentrato di pomodoro nell'acqua di cottura delle lenticchie e versarlo nella pentola con le lenticchie, far cuocere per mezz'ora dopodiché aggiungere la carne tagliata a pezzi. Coprire la pentola e lasciare in cottura a pentola coperta e fuoco moderato, per un'altra mezz'ora.
Prima di spegnere, scoprire la pentola e alzare la fiamma, facendo addensare il sugetto (se ce ne fosse bisogno).
consiglio un vino rosso fermo.






(*)
Le lenticchie di Puy sono lenticchie verdi originarie di Le Puy, in francia. Credo siano di qualità particolare, perchè cuociono velocemente senza sfaldarsi in cottura. Si dovrebbero trovare con relativa facilità.

mercoledì 26 settembre 2007

A Fuego lento


É ufficialmente arrivato l'autunno, adesso oltre alla tele a ricordarcelo c'è pure un'arietta che ti penetra nelle magliette, ancora sottili, facendo rabbrividire fin nelle ossa. É arrivato l'autunno ed io non riesco proprio ad intristirmi per 'sta cosa, essì che l'autunno, tra tutte, è proprio la stagione che ho sempre (seppur cordialmente) detestato. Lo so, non è che sia un discorso molto originale, ma stasera tornando a casa, mi sono accorta che non mi dispiace che sia autunno, che si sia rinfrescato, ero anche un po' stufa di insalate, gelati, crudité, carpacci e quant'altro, ho voglia di cucinare, e voglio farlo lentamente, molto lentamente, chissà, forse per ritrovare i ritmi che non sono mai stati miei, ho voglia della casa invasa dagli aromi che si sprigionano oltre i coperchi delle pentole socchiusi, ho voglia dei vetri appannati dal vapore, ho voglia di coccole culinarie, oh! ecco l'ho detto. Insomma, ormai la stagione peggiore piena di maglioni e mani gelide, è dietro l'angolo...sembrava ieri quando le giornate cominciavano ad allungarsi, quando iniziavamo ad alleggerire i vestiti e invece è già ora di rifare il cambio abiti! Forse è anche peggio realizzare che mancano solo un paio di giorni al mese di ottobre, il che significa che more or less un altro anno si è consumato, un'altra estate è andata. É pazzesco come il tempo viaggi ad una velocità impressionante e non riesco mai a capire se questa sensazione di celerità sia un buon segno, magari uno pseudo sinonimo di grande operatività, o sia solo un segnale di allarme perchè bisogna sempre inseguire le mille cose da fare, condannati come siamo ad interpretare perennemente il ruolo di cacciatori di attimi in questa guerra insensata contro il tempo (uscendone spesso malconci). Più avanzo con gli anni e più la vita è intensa (o così mi appare), il tempo per cucinare si è ridotto sempre di più a favore di attività di cui, a ben pensarci, non è che m'importasse sto granché. Dichiaro di essere pentita per tutti i soufflé, le torte, la pasta fatta in casa, il pane, a cui ho rinunciato. Essere occupata aumenta la voglia di trovare il tempo per godermi la casa e la cucina ha un grande ruolo in questo processo.É il più semplice tra i piaceri, preparare una pietanza dà un senso di calma e serenità. Dopo una giornata pesante, quando si torna a casa tardi-tardi, la tentazione di buttarsi su qualcosa di precotto o passare dal solito rosticciere è assai forte, ma fermandosi un attimo a riflettere ci si rende conto dell'assurdità: si rinuncia all'unico gesto d'amore verso se stessi.In fondo basta poco per organizzarsi, un frigo troppo vuoto non invoglia e fa desiderare il banco del rosticciere, ma un frigo troppo pieno diventa poco convincente, specialmente per chi è abituato ai pasti fuori casa.La capacità di trasformare il cibo, che per qualche eletto è una vera e propria abilità, è una delle più rassicuranti attitudini che si possano avere nella vita. Non so, ci devo pensare un po' su a sta vicenda dei ritmi persi e/o ritrovati, nel frattempo ho deciso di fare una ricetta che rispecchia il calo di temperatura, che si cucina molto lentamente e che sorprende con risultati esaltanti, vista la sua semplicità.
Il titolo del post l'ho preso direttamente dal libro di Glynn Joanne (vedi rece), oltre ad essere una canzone di Rosana, che adoro. in realtà il testo della ricetta era un po' confusionario, così ho preso gli ingredienti e me la sono inventata, cercando di seguire una linea guida immaginaria attraverso gli ingredienti stessi


Brasato alla Guinness

Ingredienti per 6-8
½ cucchiaino di burro
150g di speck o pancetta tagliati a dadini
1kg di cipolle rosse Tropea, tagliate a fettine sottili
1 cucchiaio di zucchero di canna
60g di farina
2kg di Punta di petto di manzo(taglio di seconda categoria, adatto per bolliti o brasati)
½ bicchiere di balsamico
1 litro di birra Guinness (o altra birra scura)
2 cucchiaini di foglie di timo
2 foglie di alloro
4 cucchiai di prezzemolo tritato

Dopo aver sciolto il burro in un'ampia pentola di piral (insomma la vecchia pentola di terracotta), friggere la pancetta a fuoco medio, fintanto che si sarà rosolata e il grasso sciolto. Estrarre la pancetta dalla pentola e tenerla da parte, mettere le cipolle nella pentola col condimento e cuocerle per una ventina di minuti a fuoco dolce, col coperchio. Togliere il coperchio e alzare il fuoco, aggiungere lo zucchero e mescolare bene fino a farlo caramellare. trasferire il tutto in un contenitore e tenerlo da parte. Non lavare la pentola. Insaporire la farina con sale e pepe e infarinare la carne, se il pezzo fosse grosso, dividerlo in più parti e farlo rosolare per pochi minuti, aggiungere l'aceto per deglassare. Aggiungere 250ml di birra e portare ad ebollizione, aggiungere la pancetta, il timo e l'alloro e mescolare per amalgamare.Aggiungere un po' della birra rimasta, abbastanza da riuscire a coprire quasi tutta la carne, coprire e far cuocere a fuoco dolce per un paio d'ore.Terminato questo tempo, unire le cipolle, se il liquido fosse ancora troppo alzare il fuoco, a pentola scoperta. per farlo restringere un po'.A piacere si può esaltare maggiormente il gusto, accompagnando con crostini insaporiti di moutarde à l’ancienne.


Considerazioni (si è vero, dopo un post così lungo non sarebbe il caso, ma tant'é...) la carne è rimasta spettacolarmente morbida e umida all'interno (io sono una sottospecie di vegetariana pentita e non è che me ne intenda molto di carne che non sia la tagliata, diciamo che ci provo con parecchia convinzione, ecco) la caramellatura mi è piaciuta davvero parecchio, nell'originale anziché la pentola di terracotta bisognava usare il forno, ma ho provato così ed è così che quest'inverno la rifarò perché è venuta al di là di ogni mia più rosea aspettativa, magari l'accompagnerò con cuoricini di polenta bianca grigliati, che dite, se po' fà?

domenica 16 settembre 2007

Notte Bianca @ Genova 2007

giovedì 13 settembre 2007

Polpette di zucchine


Ho trovato questa ricettina veloce e gustosa, in un blog inglese, è una ricettina velocissima e a basso costo, la variazione rispetto alla ricetta originale consiste nella panatura che ho fatto con i semi di sesamo e devo dire che questo ha dato quella crosticina croccante che non mi è dispiaciuta affatto.



Ingredienti:

4 zucchine tenere
1 cipolla
Foglie di menta
Foglie di basilico
Prezzemolo
Sale e pepe
4 tuorli
Pane raffermo
100 g parmigiano
grattugiare le zucchine col la grattugia a grana grossa (quella che si usa per le carote, per capirci, e metterle a scolare in un colapasta per un'oretta, nel caso, prima di usarle strizzarle un po'.
Dopodichè aggiungere alle zucchine, le erbe tritate grossolanamente, i tuorli, il pane raffermo e il parmigiano e lavorare l'impasto.
nel caso fosse troppo "morbido" aggiungere un po' di pangrattato ma senza esagerare. Una volta fatte le polpettine, che non dovranno essere troppo grosse altrimenti si aprono in frittura, passarle nel sesamo e friggerle. et voilà, nel caso di inviti dell'ultim'ora si riesce pure a fare bella figura e con gusto!

martedì 11 settembre 2007

Fainà (Farinata di ceci)


E' un prodotto tipico ligure ed è un'invenzione delle truppe romane che occupavano Genova, quando la farina di grano era un lusso, per sfamarsi con poca spesa e con molta rapidità infornavano una miscela d'acqua e farina di ceci, prodotto povero ma nutriente. Dal capoluogo ligure, dove nacque duemila anni fa, la farinata fu esportata in tutte le zone limitrofe.

Oggi storia antica e tradizione vissuta si fondono nella farinata, per ritemprarci e legarci inesorabilmente alla cucina ligure, istintivamente popolare, fatta prima di tutto per i meno abbienti, ma apprezzata e ricercata da ogni ceto sociale. È la brezza marina che percorre vicoli ed attraversa la città, con il profumo forte e personale, quasi afrodisiaco, della farinata. Ricordo, tra i racconti di viaggio letti, "le vie d'Italia" che un certo Cougnet, si proprio Alberto Cougnet, gastronomo, narrava storie ed origini delle cucine regionali. E' perciò solo nel 1905 che lo storico e geografo della cucina Alberto Cougnet può stendere, a conclusione del suo Ventre dei popoli, viaggio gastronomico nei cinque continenti, un corposo capitolo su «La cucina e la cantina italiana». La lettura del capitolo fornisce un quadro completo e particolareggiato del patrimonio gastronomico regionale e municipale. Non c' è piatto canonico che non venga menzionato, corredato da una più o meno sintetica descrizione della pietanza e dalla sua denominazione dialettale. La costituzione delle cucine locali italiane è, insomma, un fatto compiuto. [riporto fedelmente dal libro:] "Eccomi in pieno quartiere di San Teodoro, ., mentre dai forni esalano effluvi, quelli più benigni dell'odore del buon pane casalingo fresco, delle torte od erbazzoni, specialmente se nella stagione primaverile quando emanano la loro fragranza di pasta sfogliata, le torte d'erbe per l'occasione di pasqua e di san Giuseppe, e particolarmente della cosiddetta fainà [farinata], una torta logistica, costituita da un intriso di farina di ceci con acqua leggermente salata, versata dentro una larga placca rotonda di rame , detta testò, dove venne versata una larga dose d'olio di oliva.






Questa torta, tenuta molto sottile, e cotta di color dorato, come una luna piena nella luce crepuscolare, costituisce l'antica scribilitia, cui accennano le antiche grida, e editti comunali regolanti i rapporti ed i compensi dovuti dai dai casanis o "casane" (clienti delle case che facevano cuocere nei forni pubblici): il pane, l'altroclea (torta); fugaciis placentis (focacce schiacciate), i canestrellis (ciambelle o biscotti), tortello magno, rosto parvo, tiana (vivande in tiella), ecc., a questi pubblici fornarii o panicoguli. Come a Napoli x le pizze, così a Genova, non solo il popolino ed il borghesoccio agognano questa torta tradizionale, ma persino la gente facoltosa fa fermare i suoi cocchi blasonati, particolarmente dopo terminati gli spettacoli notturni dei teatri, vicino ai forni + rinomati, come quello di san Giorgio e di ponticello, per attendere ch'esca ben soffice e calda la fainà, e così spezzettata dal semilunato coltello, condita con pepe macinato sull'istante, mangiarla saporitamente, innaffiarla con buon vino dell' Incoronata [nota:il Coronata attuale] oppure di Sant'Olcese di polcevera o meglio, con quello più generoso delle cosiddette cinque terre, presso sarzana, particolarmente di Bolano, Monterosso e di Rio Maggiore."
Farinata genovese, di Oneglia, di Savona, di Imperia. Uno dice farinata e pensa subito alla farina di ceci. Ma in Liguria non ci si ferma lì. Infatti andando verso la Francia la farinata si fa anche con la farina di grano e con condimenti diversi. Scorrendo un vecchio libro edito da Mursia nel 1972 (Franca Feslikenian, "Cucina e vini di Liguria") due sono le ricette presenti: farinata genovese e farinata di Oneglia. E già lì viene la curiosità: ma perché sono diverse? E quante ce ne sono in giro di modi per prepararla? Classica la ricetta genovese, quella del cuore, che recita: 300 grammi di farina di ceci, olio, sale, pepe nero. Mettere in una catinella la farina di ceci e, con l'aggiunta di acqua, cercare di ottenere un "intriso liquido", usando la frusta per evitare grumi. Aggiungere un pizzico di sale. Versare il composto in una tortiera ben oliata e cuocere al forno, finchè non sia ben dorata. Spolverarla con pepe appena sfornata. Fin qui tutto fa parte della storia della cucina di Genova sempre molto netta nei suoi gusti. La preparazione è legata ai testi di rame. Piatto comune nel venerdì di magro, si dice sia tradizionale anche la sera di Capodanno. Che la farinata faccia parte dell'immaginario gustativo genovese lo conferma anche il fatto che quando passa una bella ragazza, viene definita "fainà di orli". L'ho appreso leggendo "Liguria, le ricette raccontate" di Mitì Vigliero Lami (Idealibri, 1998). La main d'Oneglia si fa invece con 200 grammi di farina di ceci, tre quarti d'acqua, quattro cipolline, mezzo bicchiere d'olio, sale pepe. Le cipolline tagliate sottilissime vanno rosolate nell'olio della teglia, poi messe da parte e cosparse sulla farinata prima della cottura. A Savona invece sulla superficie della farinata si distribuiscono aghi di rosmarino. Ma ecco che Imperia si distacca totalmente dalla tradizione mediterranea e al posto della farina di ceci, adopera quella di grano. Anche se rimane la nota della cipolla tagliata finemente. Gustosa da morire. Mitì Vigliero Lami racconta un gustoso aneddoto sulla farinata genovese: il poeta scapigliato
Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini, 1845-1916), seduto a un tavolo di marmo dell'osteria Bedin, nel quartiere di Ponticello, scrisse direttamente sul marmo il sonetto: "Farinata... senza Uberti" che venne poi trascritto su un pezzo di spessa carta bigia e porosa: la carta in cui si serve la farinata, appunto.
"Dante mal festi quando, nei tuoi versi,
parlando d'Ugolin preso alla magra
chiamasti quei di Genova "diversi
d'ogni costume e pien d'ogni magagna".
Ora davvero essi son pel mondo spersi,
dall'uno all'altro polo, in Francia e in Spagna,
in America, in Cina, fra perversi
selvaggi e fra civili, e niun si lagna.
Dell'ingiusto giudizio or la più fina
vendetta sui tuoi canti hanno inventata
e te la fanno sotto gli occhi aperti.
Tu celebrasti il grande degli Uberti
ed essi, in Ponticel, dalla Bedina,
celebrano ogni dì la Farinata."

Nei vecchi forni a legna oggi praticamente scomparsi (tranne qualche rara e felice eccezione, come la foto) e che si trovavano quasi tutti concentrati nella zona portuale di Sottoripa a Genova, si cuoceva ininterrottamente la farinata; fu sempre considerata un alimento talmente importante e fondamentale che, in un decreto del 1447, vennero emesse severe disposizioni per impedire l'uso di olio scadente nella cottura della scripilita, antico nome della farinata affibbiatole dai romani.
Sotto la Lanterna è fatta di farina di ceci; nel Savonese si usa anche la farina di grano e nell'Imperiese si aggiunge la cipolla tagliata a fettine sottili sottili, e la si cuoce su trucioli di legno. Esiste anche in Piemonte, ma è diversa: la chiamano "bela cauda", bella calda, ma è più pesante e spessa.
La farinata era un tempo un piatto classico della sera del venerdì di magro, del Primo Novembre e del Capodanno, assieme allo stoccafisso accomodato; quando si comprava nei forni, la prescelta era quella agli orli della teglia, più croccante e sapida: e i vecchi genovesi ancora oggi, quando vedono una fanciulla particolarmente avvenente e "appetitosa", la definiscono fainà di orli.



La ricetta
300 gr di farina di ceci; 1 litro d'acqua; 1 bicchiere scarso d'olio, sale, pepe.
In una bacinella versate la farina di ceci, l'acqua e una presa di sale. Mescolate accuratamente con un cucchiaio di legno: il composto sarà perfetto quando, tirando su il cucchiaio, non vi resterà attaccato. Lasciate riposare come minimo un'ora; passatelo poi in un colino per togliere ogni grumetto eventuale di farina. Versate l'olio in una teglia larga e bassissima; versate poi il composto, mescolando bene per amalgamarlo all'olio. Infornate tutto a forno caldo 250° per 10 minuti. Servite immediatamente (va mangiata bollente), cospargendo se volete con un po' di pepe nero. Fra le varie "contaminazioni", sulla farinata compaiono i bianchetti. Alessandro Molinari Pradelli dice che sia la specialità di Voltri. Altre variazioni sul tema consistono in: fiori di zucca, zucchini tagliati fini fini, stracchino, zucca gialla e filetti di acciughe salate, carciofi tagliati finissimi e naturalmente il regale pesto. Un capolavoro di gusto resta comunque la farinata classica e croccante dentro la focaccia salata: un binomio che rivaluta l'una e l'altra.

Trippa in umido

Riporto la ricetta della Sbira, che ha avuto parte importante nel passato della repubblica genovese, ne parlai più o meno un anno fa, chi si ricorda?


Sbïra variante della Trippa in umido (Trippa accomodä)

Preparazione: La trippa si acquisterà precotta; tagliarla quindi a striscioline. Tritare la carota, la cipolla, il prezzemolo, il sedano, l'aglio, il rosmarino, i funghi e meta dei pinoli: porre il ricavato in una casseruola di coccio con un po' d'olio, il resto dei pinoli e le olive; far rosolare per alcuni minuti, quindi unire la trippa. Continuare la cottura, e quando i sapori cominceranno a colorire, bagnare col vino bianco, lasciando poi evaporare. Tritare i pomidoro molto finemente e versarli nella casseruola. Pelare le patate, tagliarle a pezzi e metterle assieme alle trippe; unire l'alloro, salare, pepare e continuare la cottura, bagnando con acqua calda. Quando le patate risulteranno tenere, servire subito, accompagnando con parmigiano a piacere

per quattro persone
Trippa mista (centopelle e foiolo) 1 kg patate gialle 1 kg midollo di bue 100 g salsa di pomodoro concentrata 70 g pinoli una manciata carote una una cipolla una costa di sedano una aglio 1 spicchio prezzemolo un ciuffo brodo q.b. pane parmigiano grattugiato abbondante burro 100 g sale e pepe q.b.

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    Jan 22, 2005

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