lunedì 11 settembre 2006

La sbira (ovvero l'ultimo desiderio)

Riprendo la ricetta della sbira dal libro “Ricette di osterie e genti di Liguria” di Slow food, è una ricetta caduta nel dimenticatoio, trascurata, quasi ignorata, rimane una ricetta particolare e gustosa. Il suo nome deriva dai suoi abituali consumatori ma non è da trascurare il ricorso alla parola sbiro che in dialetto genovese significa gaglioffo, miserabile quindi cibo da povero.È una zuppa appetitosa e assai nutriente, ideale per l’inverno che ci brucia "naturalmente" le chilocalorie corporee. Quando a gustare questo piatto erano gli sbirri, cioè i soldati di guardia alle prigioni genovesi di Palazzo Ducale, e i camalli del porto, probabilmente era composta soltanto da alcuni degli ingredienti presenti ora quali il pane, il brodo e la trippa lessa. Un cibo rustico che veniva servito in bettole ed osterie fino a notte inoltrata, un "aiuto" contro il freddo e la fatica.La sbira è una zuppa, legata alle più antiche tradizioni genovesi. Spesso si dice di un cibo particolarmente buono che “resuscita i morti”, e a molti cibi vengono attribuiti poteri prodigiosi, taumaturgici, magici, lenitivi. Il cibo fa resuscitare i morti perchè fa resuscitare i vivi: nei fortunati incontri tra cibo e palato, cura angusti pensieri, scioglie cupe preoccupazioni, rasserena morbose paturnie. Ed è esattamente questa la storia della sbira, una zuppa che resuscitò i morti e liberò i pensieri. Anche se per un attimo solo: il tempo di finirla, e di pensarla tra palato e ricordi.
Pure la Signorina Silvani, esperta gastronoma, appassionata di cucina e deliziosa commentatrice blog senza blog, ce la racconta :
"…nella Genova del Medioevo (e sino alla fine del XVIII sec.), l’ultimo pasto dei condannati a morte consisteva in una scodella di brodo arricchito di midollo con trippe centopelli tagliate fini fini e riempita di pane abbrustolito e formaggio. Questo piatto veniva chiamato popolarmente “la sbira” perchè si trattava del rancio abituale degli sbirri (propriamente le guardie carcerarie) di Palazzo Ducale, che in quei tempi oltre residenza del Doge e del Governo fungeva pure da gattabuia.Per i prigionieri affamati, quell’umile piatto costituiva un vero banchetto consolatorio prima dell’esecuzione. Una sorta di ultimo desiderio".


Ingredienti (per 4 persone):
1 kg. di trippa, 70 gr. di burro, mezzo bicchiere di olio d’oliva, 50 gr. di lardo, una cipolla, una gamba di sedano, un ciuffo di prezzemolo, 20 gr. di funghi secchi, qualche pinolo, sugo di carne, mezzo bicchiere di vino bianco secco, fette di pane abbrustolito, brodo caldo, 4 patata lesse, sale. Tempo di preparazione: 15 minuti. Tempo di cottura: 1 ora e 30 minuti.

Preparazione: tagliare a listarelle la trippa. Mettere in casseruola il burro, il lardo e l’olio d’oliva. Rosolare le verdure ed i funghi, tutto tritato. Raggiunta la doratura unire le trippe, alcuni pinoli pestati, poi il vino che bisogna fare sfumare. Rimestare, salare e versare il sugo di carne già preparato. Fare cuocere, a pentola coperta, a fuoco lento per almeno un’ora e mezza.
Mettere sul fondo di ciotole capienti il pane tostato (meglio evitare il pane carré) che si inzupperà di brodo caldo, aggiungere le patate lesse tagliate a pezzi, un mestolo di trippa e un mestolo del suo sugo.

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    Jan 22, 2005

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